FEDELTA': UNA CINTURA AI FIANCHI, UNA VERA AL DITO.
La frase, la prima frase del vangelo secondo Marco ne riassume il contenuto, sintetizza, va al nocciolo, nel cuore di tutto il libro. Letta la prima frase è letto tutto il Vangelo, Marco anticipa ciò che poi con il suo scritto vuole dimostrare e cioè che Gesù è il Cristo il Figlio di Dio. “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”. Ciò che afferma Marco, nel prosecuo della lettura è contenuto in ciò che secoli prima ha scritto Isaia, è contenuto nell’AT, o come si diceva tempo fa nel Vecchio Testamento. L’AT dà compimento al NT di cui il Vangelo di Marco ne è parte. Nell’AT dunque è contenuto il NT, perché annunciato, e il NT svela l’AT, ciò che esso conteneva cioè il NT, Gesù Cristo il Figlio di Dio. I 2 testamenti, il NT e l’AT sono complementari uno all’altro, non ci sarebbe l’uno se non ci fosse stato l’altro, complementari come lo sposo e la sposa. L’uomo in fondo, noi fratelli cristiani, siamo fatti di tre momenti, passato, presente e futuro, così la S Scrittura ha origine nel passato, si proietta nel futuro, vivendo nel presente, trova la sua sostanza, in ciò che la fa vivere nel presente, non in ciò che è stato (perché non c’è più), né in ciò che sarà (perché non è ancora), perché la Parola di Dio è attuale, sempre attuale, è per il tempo in cui è proclamata. L’uomo del passato che attualizza nel presente il futuro è Giovanni, il Battista, che viene dal nulla, dal deserto, dal luogo del silenzio, dove si ode solo il sibilo del vento, dove l’aria è battuta percorsa, dal vento, quel vento che “non si sa di dove viene e non si sa dove va”. Viene Giovanni dal luogo dell’assenza, ma dal luogo dove si raduneranno gli eremiti, i Padri del Deserto, perché luogo della Presenza dove l’assenza di vita è la Vita stessa. Da questo luogo proviene, si forma, è spinto, (da quel vento che batte quelle lande solitarie), verso quelli che accorrevano da tutta la Giudea l’ultimo profeta dell’AT e il primo del NT. Giovanni è colui che sa riconoscere, che sa discernere, scegliere, dunque indicare e ciò lo ha già fatto nel grembo di Elisabetta sua madre, quando questa incinta incontra Maria (la madre di Dio), anch’essa in attesa dell’Evento. Giovanni, forte del passato (AT), uomo del presente, annuncia l’uomo del futuro (NT). Giovanni, abbiamo detto compare dal nulla, egli è spinto in avanti dal silenzio di cui il deserto è permeato, perché lì tutto tace, perché dove c’è la Presenza c’è il silenzio, tutto tace e Giovanni è spinto da brezza citata nelle Scritture, da quella brezza in cui è presente lo Spirito Santo. Giovanni è l’uomo dello Spirito Santo, il possibile di Dio, Dio stesso che nel brano di Marco per sua voce annuncia e preannuncia. Vita sobria, si veste di ciò che ha a disposizione, mangia ciò che trova, ciò che gli è offerto dalla Provvidenza di Dio, perché non cerca altro che la Presenza, colui che deve venire, e perché profeta deve annunciarlo, riconoscerlo, indicarlo perché sia riconosciuto. La presenza di Giovanni è in funzione della Presenza, è in funzione solo in funzione, non può frapporsi, Giovanni appare, è un’apparizione, una comparsa, Cristo è colui che riempie la scena, tutto in lui converge, perché tutto in Lui deve essere ricapitolato, cioè attuato, per poi essere proiettato, rinnovato. L’essere profeta di Giovanni è il nostro essere profeti, perché la dignità ricevuta con il battesimo è l’essere sacerdoti, re, profeti. Siamo chiamati dunque fratelli cristiani ad annunciare e indicare il Cristo. Giovanni porta la cintura ai fianchi che è segno di fedeltà ad una promessa, l’antica promessa, che si ripresenta, che non è mai stata elusa o dimenticata da Dio, anzi il Cristo è venuto a dare compimento a quella salvezza: la terra promessa. Così in suo onore, in onore del Battista, ancora oggi dopo secoli, i monaci cingono i loro fianchi con una cintura di cuoio in segno di fedeltà, come lo sposo e la sposa portano la vera, segno di fedeltà ad una promessa, alla loro promessa. Giovanni proclamava la Parola di Dio, scrive Marco, “ e proclamava”, Giovanni è il passato che non solo annuncia, ma proclama la Parola, la Parola fatta carne, il Verbo, Cristo. Che sia controcorrente, (questa bella e significativa parola usata spesso dal Santo Padre), che sia controcorrente la Parola di Dio è fuori dubbio e ben sottointeso in questo brano. Dal deserto l’uomo non si aspetta nulla, non si aspetta di trarre nulla, perché il deserto è assenza, assenza di vita, limite di vita, limite, eppure dal deserto ci dice Marco, viene il Battista, colui che annuncia, che annuncia la Vita e nel deserto più tardi si ritirerà per incontrare Cristo, trovare la via di Dio, perché Cristo è la Via, è Dio, dunque il deserto, nel deserto c’è via, c’è la Via e la Vita; e in quel deserto per quarant’anni un popolo, il popolo di Dio (noi fratelli cristiani) ha girato in lungo e in largo e anche in tondo alla ricerca della sua identità. Il deserto dunque è il luogo in cui ha avuto origine è iniziata la genesi del nostro credo. Il deserto è il luogo, al deserto siamo chiamati, dovremmo essere attirati, soprattutto dal suo silenzio, da quella totale assenza che è Presenza, dove sono chiamato, invitato a fare esperienza di me stesso, dove sono io e in Dio, Dio, dove l’essenzialità, l’assenza, la povertà, la mancanza, la privazione, forma la mia personalità, la mia dignità: è lì o è là? C’è sabbia per terra? Dove e devo cercare quel luogo? No devo scendere in me stesso e vivere la mia coscienza.
omelia per la II domenica di avvento anno B