CARO LELE TI SCRIVO, COSI' MI DISTRAGGO UN PO'
Voglio condividere con te e con gli amici di Chiesa Controcorrente, questa mia riflessione , caro Gabriele. Accusato dal tuo vicario generale, di attribuire nomignoli, di cui il suo è vicarione, ti chiamo confidenzialmente Lele, un po’ per confermare l’accusa del vicarione e un po’ per scandalizzare quella cerchia di laici perbenisti che ti circondano e che continuano a farmi giungere, per interposte persone, la loro borghese indignazione per come mi rivolgo a te. Ma cosa ne sanno loro, del rapporto tra prete e vescovo? Rapporto che tu definisci tra padre e figlio. Ma cosa ne sanno loro del rapporto tra prete e prete? Che tu definisci fraternità sacerdotale, cosa ne sanno loro? Il rapporto è dunque paternità e fraternità, rapporto personale, intimo a cui loro non possono essere invitati ad entrare, a vivere a meno che uno dei due gli racconti la sua verità parziale, ma quello non sono certamente io. Mi accusano di perseguitarti, e che questa natura sia di natura patologica. Io non credo, e leggendo un’intervista a padre Camillo De Piaz, servita, amico fraterno di padre Turoldo, esiliato dal 1957 per ordine del sant’Uffizio voglio condividere con te, i miei e i tuoi amici, la mia riflessione. De Piaz di oggi avverte il pericolo di mettere fuori gioco il Concilio, di cui si definisce, con Turoldo, uno dei primi anticipatori, attraverso l’esperienza di un’attività culturale con i grandi teologi di quel tempo, “che si basava sul dialogo aperto e serrato” afferma padre De Piaz: dialogo con…! Il dialogo è stato, a detta del servita, ciò che la gerarchia ha rimproverato. A quel tempo, l’oggetto del dialogo dei serviti De Piaz-Turoldo era il dialogo con la cultura contemporanea di allora. Ciò che mi ha colpito delle affermazioni di De Piaz è l’atteggiamento di rimprovero da parte della gerarchia, dunque la chiusura al dialogo come metodo di “conoscenza reciproca”. E questo fatto io lo riscontro in te, e se tu non dialoghi con chi vuole dialogare con te, metti fuori gioco il Concilio che è dialogo, puro dialogo che dialoga e al dialogo spinge, e che di dialogo si nutre, e che nel dialogo cresce e si diffonde. Sempre De Piaz, scrive che il centro del cristianesimo è un Dio che da sacro si fa profano, mentre tu non dialogando sacralizzi te stesso, e non dialogando non emettendo parola divieni un idolo, che è muto, la Sacra Scrittura ironizza sul mutismo dei Baal, confrontate il libro dei Re, leggete Elia e i 400 sacerdoti di Ball, e la dimostrazione che Lele diviene un idolo sono quei laici benpensanti e perbenisti che per il fatto che è vescovo lo idolatrano cioè dipendono si sottomettono a lui e ciò non è giusto, perché sono esseri liberi e lui non devi permettere che nessuno di loro perda la dignità di uomo libero che è conferita non da lui, ma da Dio stesso. Permettendo questa pseudo-idolatria, tu permetti che si intenda in modo improprio l’autorità del vescovo dunque la gerarchia, permetti che si ridicolizzi la vera sacralità della gerarchia che non è la persona, ma la Tradizione; in te io rispetto la Tradizione e discuto l’uomo, rispetto il sacro e discuto il profano.
Padre De Piaz osserva l’uso politico del religioso, e l’uso religioso del politico, a danno di tutte e due le componenti. In ciò si legge la confusione tra due mondi che invece di compenetrarsi restano inconfusi, hanno la velleità di occuparsi e ciò fa emergere due poteri contrapposti che portano come conseguenza un processo di scristianizzazione e l’uso improprio del nome di Dio. Il servita afferma che oggi :” il nome di Dio va usato con parsimonia, per non banalizzarlo e per non renderlo alla fine innocuo e insignificante”. La gente che ti circonda, caro Lele, reca all’esterno questo messaggio e la conseguenza che padre De Piaz denuncia con questa frase:” questo allontana il popolo da Dio”, mentre avvicina a te questa gente, che io chiamo le top model, con la loro smania di potere, sottomettendosi a te succhiano potere e libertà. Lele devo chiudere, resto, come scrive padre De Piaz di se stesso e di padre Turoldo, su posizioni molto esposte, di avanguardia secondo il gergo militaresco quindi sottoposto al tiro dei cecchini tuoi amici, e malgrado il tiro incrociato, resto saldamente nella Chiesa che è l’unica, che mi può perdonare e salvare, come scriveva don Lorenzo Milani. Al perdono e alla salvezza non rinuncio. Resto fedele quindi obbediente, e questa mia fedeltà l’ho dimostrata oltre che pagata a caro prezzo e mi è stata da te pubblicamente riconosciuta nel giorno del rito della mia ammissione. Fossero fedeli come me tanti tuoi preti…………..e ci siamo capiti, ma questo devi raccontarlo alle tue top model……. Solo la fedeltà al Vangelo e alla Chiesa mi permettono di essere libero e fiero di ciò che sono.