LA MISSIONE? ANNUNCIO, NON GENERI ALIMENTARI O DI CONFORTO
“Andiamocene altrove nei villaggi vicini perché io predichi anche là, per questo infatti sono venuto”. Dio s’incarna: “affinchè io predichi” questo afferma il Cristo. Non certamente io, ma il dizionario di teologia biblica afferma che oggi predicare significa:” sia annunciare l’avvenimento della salvezza, sia esortare e insegnare”. Ma il dizionario specifica anche che nel nuovo testamento: “ la predicazione è ristretta alla proclamazione solenne di un fatto (Kerigma) Gesù è Signore e Salvatore”. Sempre più il dizionario ha un unico schema e orientamento, la chiamata alla conversione e l’annuncio di un avvenimento: la salvezza, la vittoria di Cristo sulla morte, il mistero pasquale. La predicazione è dunque un mistero per il contenuto stesso del suo messaggio per essere salvi è necessario credere, per credere è necessario ascoltare la predicazione e la predicazione è Parola di Dio: “ per questo sono venuto affinchè io predichi” ed è parola umana cioè avviene, è resa dall’uomo, da chi predica, se Dio s’incarna, cioè assume la nostra natura per predicare, se l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, se Dio assume la nostra natura umana, lui che è di natura divina, se Dio conferisce con la sua grazia la vita divina all’uomo, (cioè l’uomo alla sua natura umana unisce quella divina, la divinità), allora non è solo Dio che viene a predicare ma è l’uomo che è chiamato a collaborare alla predicazione, a far risuonare nel mondo intero, (ma prima di tutto a se stesso), il fatto: Gesù è Signore e Salvatore. Paolo nella 1 lettera ai Corinti afferma:” annunciare il Vangelo è una necessità… Guai se non annuncio il Vangelo” e poco prima metteva in chiaro:” annunciare il Vangelo non è per me un vanto”. Ancora Paolo ai Corinti scrive:” …è un incarico che mi è stato affidato”: la missione, questa è la missione e non altro, Gesù Cristo salvatore e Signore, non generi alimentari o di conforto. Annunciare è salvare e salvarsi, è strada all’altrui salvezza, ancora Paolo scrive:” mi sono fatto tutto per tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”. La missione consiste nel seminare e il seminatore è colui che porta alla salvezza. Non usa Paolo il verbo convincere, la sua è una proposta, si adatta, fa tutto il possibile per salvare, per portare alla salvezza qualcuno, non tutti. Quel qualcuno ha ascoltato, quindi creduto, quindi aderito, si è fidato, non tutti, qualcuno, quel piccolo resto che l’antico testamento propone alla nostra attenzione alla nostra riflessione. Non tutti, i pochi dei molti, questo è il popolo, il santo popolo di Dio. La predicazione poi non è appannaggio del solo ministro ordinato, è dovere di tutti i cristiani. Si predica, si proclama solennemente il Kerigma, il fatto, Gesù Signore e Salvatore, con la propria vita. Ciò che è solenne in noi è la nostra vita, il nostro vivere, e la solennità è tale per il solo fatto che viviamo. La mia vita è solenne, maestosa, importante, seria. I primi cristiani, i primi martiri per il Kerigma davano la vita, ciò che avevano di più caro, tutto se stessi, e la davano solennemente tanto che solennemente venivano inumati e ricordati, (il far memoria) dalla comunità e ciò solennemente si è trasmesso, perpetuato sino ai nostri giorni. Ognuno di noi fratelli cristiani con la propria vita proclama il Kerigma, la nostra responsabilità di cristiani: vivere, respirare e basta, non c’è bisogno d’altro. Da ciò che siamo, da come viviamo siamo riconosciuti; gli altri “il fuori da noi” decreta, giudica ciò che c’è dentro di noi. Paolo lo ricorda e lo scrive nero su bianco:” osservando attentamente il loro tenore di vita” e attraverso questo osservare, i pagani, i gentili ad Antiochia chiamarono o meglio denominarono i membri di quella comunità che là risiedeva cristiani; erano predicatori con il loro modo di vivere; con il loro caratteristico stile di vita predicavano. Ognuno di noi dunque fratelli cristiani è chiamato, invitato a predicare la buona notizia, con la propria vita, senza fare chissà che, partecipare a corsi, seguire conferenze, frequentare scuole, ma conformandosi a ciò che si crede, a ciò che si spera, nel posto in cui si vive, tra la gente che quotidianamente s’incontra frequentemente e casualmente, gente con la quale s’intessono rapporti d’amicizia, o solo anche di conoscenza. E’ per ciò che sono, che “tocco” l’altro, gioca la mia fedeltà, sì la mia fede, il mio atteggiamento che è la dimostrazione visiva all’esterno della mia fede, la mia libertà nel praticarla, la mia fedeltà nell’osservarla. Tutto ciò è sobrietà di vita. Ricordiamo fratelli cristiani che come si è letto nel libro di Giobbe: “ un soffio è la mia vita” , è un alito, un attimo, ma quell’alito è alito divino, quell’attimo è tempo in cui Dio è intervenuto nella storia, in cui l’uomo nel giardino ha preso forma, ha assunto lo Spirito, si è animato, ha iniziato solennemente a vivere, corpo, anima, spirito, persona. Ha acquistato importanza, capace di donarsi, di dare quella vita, di spendersi a fine di bene. Ciò che faccio, scrive Paolo è fatto innanzitutto per il Vangelo che è Parola di Dio, Dio stesso, poi per me stesso, quindi per gli altri: il fine di Dio è indurmi alla sua conoscenza che è di conseguenza conoscenza di sé stessi e di conseguenza conoscenza degli altri, così si cresce, si matura, si diviene uomini, unità nella nostra diversità, come d’altra parte avviene nel rapporto trinitario. Ricordiamo però ed è il dizionario biblico a ricordarlo che il predicatore:” deve condividere la sorte di colui del quale è l’araldo. I predicatori della croce sono dei crocifissi viventi” e ricorda ancora che il predicatore “corre anzitutto il rischio di essere egli stesso riprovato” e conclude “allora non è più soltanto la parola del predicatore ad essere la Parola di Dio è la sua vita stessa, ad essere il mistero pasquale in atto”. Concludo facendovi notare che se la Parola di Dio è persona il Cristo; la nostra parola siamo noi stessi in persona. Ma chi altro per noi, ha una così alta considerazione?
OMELIA per la V domenica del T.O. anno B